Menzioni e Recensioni
Attilio Braglia, con le sue estese composizioni figurative dedicate ai treni e ai volti che dai finestrini dei treni ci guardano, compie una sorta di stupita meditazione sulla contemporaneità e sulla condizione umana.
“Un bello e orribile / Mostro si sferra,/ Corre gli oceani Corre la terra/….”. Così raffigura il treno, nel lontano 1863, Giosué Carducci nel suo Inno a Satana, che diventa inno alla macchina, alla ferrovia, al treno “forza vindice della Ragione”che spazza via l’oscurantismo ed apre alle umane sorti e progressive.
Anche per i futuristi, quasi mezzo secolo dopo, sia in letteratura che in pittura, il treno è emblema della velocità. Ma di una velocità non necessariamente “progressista”e che infatti devierà sovente verso il mito della guerra igiene del mondo, valori estetici a parte.
Valori che in Braglia, e non solo per i suoi “treni”, sono ravvisabili in un originale recupero della dimensione umana ed umanistica; ciò che conforta rispetto ai tanti ripetitivi “sperimentalismi” approdati alle mercantili “installazioni” tipo “Hanging Hearth” (Cuore sospeso) di Jeff Koons, venduto a un’asta nel 2007 per 23 milioni di dollari (!!!): trattasi di una specie di enorme palla da albero di Natale.
Nella Francia del Fronte popolare 1936 1937, dei “congés payés”, il treno sarà simbolo gioioso delle vacanze al mare anche per i ceti popolari.
Eichmann farà del treno, dei lunghi convogli di vagoni bestiame caricati di uomini donne bambini ridotti a Stuecke (pezzi) destinati allo Sterminio, una icona demoniaca del Novecento.
I volti che dai pertugi dei vagoni per Auschwitz puntano al cielo e cercano l’aria per respirare dietro intrecci di filo spinato sono un grido di angoscia che ancora ci ferisce.
Le figure che ci guardano mentre noi le spiamo dietro i grandi finestroni dei treni di Braglia ci ricordano a tratti, nella loro personalissima perfezione tecnica, il realismo magico dell’americano Hopper, figure imprigionate nel posto che temporaneamente occupano compiendo gesti ordinari: proporsi in canotta neorealista, denudarsi, sorridere, strillare ad un bimbo.
Dietro ogni figura c’è il sospetto di storie segrete, a volte inquietanti, soltanto vagamente intuibili. Figure, volti, corpi, posture che intrecciano momenti di sognati fatti di cronaca, citazioni da quadri barocchi, sorprendenti presenze mitologiche, poi anche elementi minerali, meccanismi, scorci urbani o geometrici che vi si sovrappongono per rispecchiamento.
Sguardi che escono dai confini del quadro, ora ammiccanti ora assorti a contemplare un punto lontano.
Una vita brulicante ci scorre innanzi, una vita che ci interpella sul viaggio della specie umana, sul senso di quel viaggiare, sulla memoria che ci costituisce.
Quasi una assorta speranza di recupero di senso, di rinnovata attesa di futuro che emerga dalle contraddizioni del presente.
L’Umanità è al centro delle ricerche pittoriche espressa nella perfezione che riportano a temi universali, raccontata dalla fenomenologia del contemporaneo e dall’emozionalità nel guardare il mondo nell’altro. l’Arte come liberazione dell’eterno umanino, e in questo senso, figurativa o aniconica che sia, indipendentemente da tecniche e materiali, che sono sempre contestuali all’epoca, la pittura è peculiare manifestazione dell’uomo, e proprio per questo anche suo specchio.
Attilio Braglia intona un canto alle meraviglie del mondo, siano esse naturali o artificiali. Egli narra di moderni miti, dopo aver scandagliato gli abissi e ritrovato memorie colte in composizioni citazioniste. Formatosi nell’ambito del Realismo Esistenziale, il suo sguardo sul contemporaneo e il quotidiano ha l’acutezza del fotoreporter e riesce a far assurgere a rilevanza universale qualunque episodio dell’epica moderna, sia essa una gara sportiva, una corsa di cani, una gara di cavalli. Sotto la lente del pittore il rito folkloristico del palio o quello sportivo della maratona sembrano incarnare la tensione del gesto eroico e la forza dell’agonismo supremo, sulla sua tela l’energia del movimento intrappolato dal disegno esplode nel colore, nella materialità della sottile pennellata a rilievo, nell’abbagliante uso della luce che evidenzia i contrasti dei piani per lo più sovrapposti.
Braglia rielabora lo spazio, elude l’impostazione monocentrica classica, spesso vincola le composizioni a più punti di fuga, a volte allarga la ripresa fino a superare le leggi prospettiche, si serve di parti di tela a monocromo per concentrare la rappresentazione su fasce o agglomerati, quasi a voler comprimere tutto il potenziale dell’energia che l’azione rappresentata vuole far esplodere. L’uso di delimitazioni, di quadri nei quadri, di sovrapposizioni e di cornici dipinte internamente a quella fisica del quadro, riportano al frame cinematografico, alla successioni di momenti rappresentati contemporaneamente, all’idea di compenetrazione e simultaneità, oltre che di apertura e di velocità, che riportano lo stile alla poetica futurista. Il pulviscolo alzato dagli zoccoli scalpitanti dei cavalli, le direttrici di fuga dipinte, le sovrapposizioni di colori e ombre, uno sfuocato da fotografia mossa, ripercorrono l’idea della rappresentazione del dinamismo di boccioniana memoria, superano l’ambiguità delle soluzioni di Balla, tengono fede al diktat marinettiano, ma in una forma assolutamente contemporanea.
I quadri di Braglia sempre rappresentano il movimento, anche nell’apparente immobilità di un abisso marino, dove invece la vita è brulicante, e regalano allo spettatore un’emozione spontanea che nasce dalla freschezza e dall’originalità di un punto di vista che il pittore rende “sine lege”, nella libertà che si gode in un mondo fatto di contraddizioni. Braglia poi sceglie un luogo particolare da dove osservare la varietà del genere umano, da dove approfondire quella fenomenologia del contemporaneo che già aveva caratterizzato la sua formazione artistica, e nasce il ciclo dedicato ai treni. Luogo emblematico, o non-luogo per la moderna filosofia dopo Marc Augé, quello della stazione, dove di nuovo Braglia ripropone i suoi topoi: il dinamismo di “Quelli che partono” contro la fissità di “Quelli che restano” (per citare di nuovo Boccioni e la sua serie degli Stati d’animo, proprio rappresentati nell’ambito delle stazioni ferroviarie) e le ampie campiture cromatiche piatte e uniformi che incorniciano fotogrammi, pulsanti di azioni e di tensioni emotive, ricavati dalla conformazione stessa del treno con i suoi finestrini. Ribaltando il punto di vista da chi viaggia, e guarda oltre il vetro verso l’esterno, a chi resta, è lo spettatore che scruta dentro quella metafora dell’umanità in viaggio che il treno incarna.
Braglia rielabora lo spazio, elude l’impostazione monocentrica classica, spesso vincola le composizioni a più punti di fuga, a volte allarga la ripresa fino a superare le leggi prospettiche, si serve di parti di tela a monocromo per concentrare la rappresentazione su fasce o agglomerati, quasi a voler comprimere tutto il potenziale dell’energia che l’azione rappresentata vuole far esplodere. L’uso di delimitazioni, di quadri nei quadri, di sovrapposizioni e di cornici dipinte internamente a quella fisica del quadro, riportano al frame cinematografico, alla successioni di momenti rappresentati contemporaneamente, all’idea di compenetrazione e simultaneità, oltre che di apertura e di velocità, che riportano lo stile alla poetica futurista.
Attilio Braglia intona un canto alle meraviglie del mondo, siano esse naturali o artificiali. Egli narra di moderni miti, dopo aver scandagliato gli abissi e ritrovato memorie colte in composizioni citazioniste.
Formatosi nell’ambito del Realismo Esistenziale, il suo sguardo sul contemporaneo e il quotidiano ha l’acutezza del fotoreporter e riesce a far assurgere a rilevanza universale qualunque episodio dell’epica moderna, sia essa una gara sportiva, una corsa di cani, una gara di cavalli.
Sotto la lente del pittore il rito folkloristico del palio o quello sportivo della maratona sembrano incarnare la tensione del gesto eroico e la forza dell’agonismo supremo, sulla sua tela l’energia del movimento intrappolato dal disegno esplode nel colore, nella matericità della sottile pennellata a rilievo, nell’abbagliante uso della luce che evidenzia i contrasti dei piani per lo più sovrapposti.
Braglia rielabora lo spazio, elude l’impostazione monocentrica classica, spesso vincola le composizioni a più punti di fuga, a volte allarga la ripresa fino a superare le leggi prospettiche, si serve di parti di tela a monocromo per concentrare la rappresentazione su fasce o agglomerati, quasi a voler comprimere tutto il potenziale dell’energia che l’azione rappresentata vuole far esplodere. L’uso di delimitazioni, di quadri nei quadri, di sovrapposizioni e di cornici dipinte internamente a quella fisica del quadro, riportano al frame cinematografico, alla successioni di momenti rappresentati contemporaneamente, all’idea di compenetrazione e simultaneità, oltre che di apertura e di velocità, che riportano lo stile alla poetica futurista. Il pulviscolo alzato dagli zoccoli scalpitanti dei cavalli, le direttrici di fuga dipinte, le sovrapposizioni di colori e ombre, uno sfuocato da fotografia mossa, ripercorrono l’idea della rappresentazione del dinamismo di boccioniana memoria, superano l’ambiguità delle soluzioni di Balla, tengono fede al diktat marinettiano, ma in una forma assolutamente contemporanea. I quadri di Braglia sempre rappresentano il movimento, anche nell’apparente immobilità di un abisso marino, dove invece la vita è brulicante, e regalano allo spettatore un’emozione spontanea che nasce dalla freschezza e dall’originalità di un punto di vista che il pittore rende “sine lege”, nella libertà che si gode in un mondo fatto di contraddizioni. Braglia poi sceglie un luogo particolare da dove osservare la varietà del genere umano, da dove approfondire quella fenomenologia del contemporaneo che già aveva caratterizzato la sua formazione artistica, e nasce il ciclo dedicato ai treni. Luogo emblematico, o non-luogo per la moderna filosofia dopo Marc Augé, quello della stazione, dove di nuovo Braglia ripropone i suoi topoi: il dinamismo di “Quelli che partono” contro la fissità di “Quelli che restano” e le ampie campiture cromatiche piatte e uniformi che incorniciano fotogrammi, pulsanti di azioni e di tensioni emotive, ricavati dalla conformazione stessa del treno con i suoi finestrini. Ribaltando il punto di vista da chi viaggia, e guarda oltre il vetro verso l’esterno, a chi resta, è lo spettatore che scruta dentro quella metafora dell’umanità in viaggio che il treno incarna.
HANNO SCRITTO RECENSIONI O PREMIATO SUOI QUADRI
Adamo, Alfieri, Ambrosetti, Anguioni, Annigoni Baldini, Balzano, Baraldi, Bassi, Bargellini, Bartoli, Belfiore, Bertacchini, Bianchi, Biancini, Bocchini, Bottai, Biasetti, Bonini, Biasion, Boccaletti, Bonafini, Brambilla, Brunetto, Breddo, Bologna, Brindisi, Bergonzoni, Budigna, Bugiani, Bardeggia, Barbieri, Bedini Campani, Cancellieri, Cappelletti, Cavallari, Casali, Cavallo, Cavazzini, Cavazzoni, Ciminaghi, Ciucci, Cadalora, Cesarini, Cortese, Cottini, Corazza, Corradini, Campanini Dall’Aglio, D’Accardi, Dal Prato, Di Caresana, Domenici, Degani, De Micheli, De Grada Falossi, Famigli, Fangareggi, Ferruzzi, Fezzi, Fiume, Fontanesi, Francia Guttuso, Gandini, Gai, Giusti, Gigli, Gori, Gazzera, Galuppo, Ghilardi, Galletti Iori, Iotti Hermandt Krimer Lepore, Lucchini, Lusuardi, Leonardi, Lanfranco Magnavacchi, Mainardi, Malagoli, Mantovi, Margotti, Mangiabosco, Mari, Marussi, Marcucci, Mascherini, Marcheselli, Marzi, Massacesi, Mormino, Mattioli, Meluschi, Melioli, Moscardini, Morandi, Munari, Manfredi, Martinelli, Manuelle, Menozzi Nuvolari, Nocentini, Natasio, Novelli, Nobili Passoni, Patuzzi, Paolucci, Paloscia, Pasquali, Pelloni, Pistono, Pescatore, Penelope, Poletti, Portaluppi, Poppi, Purificato, Parmiggiani Quintavalle Ranzato, Ricci, Ribaldone, Rimontini, Romiti, Rossi, Rossini, Rigoni, Rubboli Saetti, Sassi, Scala, Schiltian, Simonini, Seneghini, Servolini, Sepo, Stefani, Solmi, Sinelli, Storari Tapparo, Tassi, Tavoni, Tessari, Traversi, Treccani, Trentini Usellini Valeo, Varroni, Vecchiati, Verzellesi, Vezzosi, Villani, Visioni, Verga, Venuti Zavattini, Zaccaria, Zanfrognini, Zapparoli, Zaghini, Zecchi, Zambelli, Zigaia, Zagni
Attilio Braglia, ha fatto tesoro delle lezioni del passato, rapportandole al vivere contemporaneo; nelle sue opere indaga il movimento, in modo ampio e coinvolgente: da quello della natura, riflettendo sulla poesia della nascita e immergendosi nella quiete cristallina dei fondali marini, per arrivare alle dinamicità urbane, nel veloce transitare della folla e nel movimento dei cavalli, lanciati nella frenesia del Palio o impegnati in gare ippiche.
Sono suggestivi e vitali pannelli mnemonici, nei quali fotogrammi di realtà si innestano al movimento della coscienza, reinterpretando e attualizzando la filosofia di Bergson, secondo cui il tempo non esiste di per sé ma come tempo della coscienza, e lo spazio non è che il tempo spazializzato, cioè un insieme di istanti messi vicini:
“Se mi raccolgo dalla periferia verso il centro, se cerco al fondo di me ciò che più uniformemente, più costantemente e durevolmente è me stesso, trovo tutt’altro. Al di sotto di quei cristalli ben tagliati e di quella superficie congelata, vi è un flusso continuo, non comparabile a nulla di ciò che ho visto fluire. È una successione di stati, ciascuno dei quali preannunzia quello che lo segue e contiene quello che lo precede.
[…] In realtà, nessuno di essi comincia o finisce, tutti si prolungano gli uni negli altri.”
Il segno calligrafico di Braglia graffia le campiture piatte di fondo, secondo un ritmo che rende gli intrecci di gruppo vibranti e sottolinea i flussi dinamici, direttrici da cui si staccano, come improvvisi tasselli di memoria, elementi che cercano di conquistare il primo piano.
La sua è una pittura pulsante, che unisce la minuzia incisiva del segno a campiture fatte di volute in espansione e di agglomerati cromatici svolti senza incertezze.
Energia e riflessione si alternano nello spazio della tela, in un contrappunto che amplifica la vitalità, la linfa creativa e le felici intuizioni di questo autore.
Immediatezza e sicurezza di esecuzione, forza d’invenzione, tonalità di colorito sono i suoi pregi peculiari.
Braglia ha interessi estesi ai molteplici aspetti del reale, non solo a motivi drammatici, ma anche a quelli dolci e teneri.
Il suo cammino attuale è tutto interiore, caldo per urgenze totali, per simbolismi. Egli non è certo pago di un descrittivismo senza problemi.
E’ impegnato in una consapevole operazione di recupero artistico dei valori incancellabili dell’uomo e della natura, proprio perché questi problemi sono congeniali al suo modo di intendere e di agire, al di fuori d’ogni pericolo di strumentalizzazione.
Le opere di maggior respiro spaziale nascono da un’impaginazione che trova un sicuro equilibrio in campiture diverse: il tema dominante saturo d’involucri, oggetti, arborescenze, occupa quasi sempre la parte inferiore della tela, senza però determinare nessuna “chiusura plastica” perché il tutto si protende alla parte superiore, ricca di una controllata eleganza monocromatica impreziosita da linee di tono più luminoso, capaci di vibrazioni che aumentano il senso della profondità spaziale e prospettica. Anzi pensiamo che si possa parlare d’apertura rappresentativa superiore all’attesa stessa del fruitore, poiché i vari oggetti – soggetti mostrano un frequente vagabondaggio dell’artista negli interspazi della natura, liberata da riferimenti d’estrazione strettamente naturalistica affinché l’oggetto possa essere riproposto solamente come elemento evocativo; e le immagini si sovrappongono, si frastagliano, riaffiorano con improvvisi guizzi angolati da una prospettiva quasi esotica in senso grafico ma non coloristico.
Un percorso che svolge il suo filo in una lenta, meditata traiettoria tra frammenti di reale e grovigli simbolici. A questo ritaglio di spazio, Braglia sembra riferire con attenta immaginazione non solo alcuni elementi della sua composizione pittorica, ma una sequenza d’intrecci narrativi che muovono dal ricordo come dalla sensazione immediata, appoggiano e depositano le loro tracce negli spessori di una pittura che vuol conservare ancora tutta la qualità di una materia simile all’acqua e all’erba, al colore di un giardino o dei campi; alla linea di un volo d’uccelli, o del ricamo di un vecchio pizzo di casa. In questa pittura che odora di «nuova figurazione», che conserva come in un acquario, nel nitore un poco artificiale di una luce vitrea, i resti di una storia di piccoli e intensi stupori, si agitano certi impulsi, si riflettono complessi momenti visivi che fanno risuonare d’altre note, d’altri echi, la lucida stesura cromatica. Quasi di straforo, fra i residui d’oggetti, le ondulazioni d’erbe nel vento, s’insinua una «impressione» di sogno, d’episodi accaduti e di cui si ricordano soltanto alcuni elementi casuali, accostati provvisoriamente come in un montaggio fotografico mescolato e fuso nella memoria, nei segni restati incisi nel ricordo e nella pelle.
Già nei «fatti di cronaca» di qualche anno fa, Braglia individuava alcuni momenti chioccianti, pezzi di corpi riversi, segni di violenza proiettata negli scorci, nei brani interferenti nel riquadro, un poco come su uno schermo che si muove e si seziona, senza lasciarci vedere l’intera immagine. Quando Braglia lavora su questo modo, su questo tipo di visualizzazione si stacca da certe suggestioni culturali e preme con altre sue varianti espressive sul processo discorsivo – espressivo fino a dotarlo di una sua movenza sottilmente allucinata.
Fra i segni – immagine di cose conosciute, fra prati e selciati, interno ed esterno, si innescano tensioni fra passato e presente, felicità e paure: la finestra che sembrerebbe ancora aperta e ferma a ritagliare un lembo di mondo esterno, ad isolare dettagli sulla strada o sul sentiero tra il verde, è un vano indefinibile, uno spazio che ondeggia, come all’occhio di una cinepresa che avanza, tremando nella mano, a scoprire qualcosa di strano o d’orrido fra i cespugli, di là dal primo tratto di cemento, o sull’arena di una spiaggia.
La stessa attenzione che è puntata sugli «interni» sugli oggetti vecchi di casa, fotografie, sedie, drappi è talora portata sugli «esterni» e le apparizioni, qui, sono ancora più misteriose. Da alcune scene marine, giocate su grandi zone di colore unito, in cui lo spazio è pausato da pochi itinerari d’uccelli, e la rena è macchiata di gusci nuovi, traspare anche l’allusione a strumenti di laboratorio; è la presenza di un pensiero ossessivo, appena profilato di una sorta di filtro vitreo che, attraversando questo ne sposta il significato, ne definisce l’alterazione.
La natura, dunque, muore ma il disegnare e il dipingere ancora le forme di natura, come appare da un recente «bestiario» marino, può ancora illuderci di esserle vicini, di poterne seguire la favolosa genesi; e Braglia sta accumulando, come in un museo subacqueo tra vivente e fossile, le forme preziose di varia flora e fauna acquorea.
Eppure, anche in quelle riserve di specie naturali che sembrano galleggiare ad affiorare all’occhio come una sorta di lenta ma minacciosa invadenza, c’è qualcosa d’arcano che, conscio o inconscio che sia, fa allusione ad una simbolica cosmica per nulla rassicurante. I «bei» residui della natura e della pittura, amati fino al fanatismo, hanno un loro odore di squisita mortalità, rilevate da Braglia anche in certi piccoli spettri casalinghi, dalle bambole gessose, alle incrostazioni bianco – funebri di vecchi merletti, ai nebbiosi ritratti politici, fino all’ingrandimento recente di una farfalla della morte…La pittura che pare illustrativa rivela certe sue possibilità di pescaggio rivolti esistenziali, com’è più proprio e avvincente. E forse Braglia ha ancora altre cose da esplorare, su questa traccia più segreta della sua realtà .
L’impegno serio, il lavoro, la ricerca ed il rifiuto del facile effetto, sono certo dati sicuri della sua personalità, più complessa di quanto non si indovini ad una prima lettura delle sue opere.
In Braglia il fiore, gli oggetti insignificanti, la natura diventano sempre più i protagonisti, sparisce il macro cosmo che li circonda e lentamente, venendo in primo piano, acquistano il valore di simboli.
Tra i pittori che operano in Emilia, Braglia è senza dubbio uno dei più vivi e dei più autonomi. Non è mai appartenuto ad un gruppo di tendenza. Pittore, “ sine – lege “, potrei dire. L’unica sua legge è sempre stata una dote profonda di spontaneità, un’emozionalità diretta di fronte alla vita, allo spettacolo del mondo. Ma insieme con ciò è da mettere senz’altro in primo piano anche il dono che egli ha si trasformare in traslato di favola ogni suo incontro, ogni circostanza della propria esistenza. Le “impressioni di sogno” i “ricordi ecologici”, i “bestiari marini” non fuggivano a quest’ispirazione, anche se i termini del linguaggio si definivano allora in maniera diversa da quell’attuale. I termini stilistici di allora erano, infatti, più fermi e più “logici”. A guardare i quadri più recenti, ci si accorge invece del nascere e del dispiegarsi di un linguaggio “straordinariamente libero” da paradigmi prefissati: un linguaggio cioè affidato in maniera incondizionata agli impulsi, alla fantasia, al fervore e alla fragranza delle sensazioni immediate Braglia oggi è un Braglia che è padrone della propria libertà, ne gode e vi si sprofonda dentro sicuro d’averne ormai in mano i segreti e le ipotesi, senza sgomentarsi davanti ai rischi che l’immaginazione gli propone con inesauribile gettito. Raffinatezza e innocenza, stupore e tenerezza, acutezza ed elementarità fluiscono insieme, come per incanto, sulla sua tela e dispongono gli oggetti, le figure, ogni altro “dato” seguendo un ritmo obbediente soltanto ad una sorta di dolcissima vertigine interiore. In questo modo sembra quasi che il quadro si componga da se, per un’intima energia prodotta, che Attilio Braglia asseconda non frapponendo schemi né diaframmi. Nelle opere più recenti Braglia compie un “excursus” divertito e svagato, pungente e melanconico. Il contesto abitudinario della realtà in questo modo va in frantumi, come un uno specchio rotto in mille frammenti che riflettono a loro volta altri moltiplicati frammenti di realtà. Il singolare caleidoscopio di Braglia. E’ da qui che nascono i suoi racconti che spesso hanno l’andamento di “storia” candide e deliziose, fresche e brillanti come se egli dipingendo, eliminasse la buccia opaca delle cose per restituirle ad una loro primitiva verginità. E come si muove senza impacci e inibizioni, Braglia, dentro il labirinto della cultura figurativa contemporanea. Nulla è mimetizzato. Non c’è ragione, poiché è così sorgiva la sua vena pittorica che niente può intorpidirla e snaturarla. Ecco dunque una visione senza veleni, ecco un occhio che si apre sul mondo ancora con meraviglia, ecco un pittore che inventa una realtà urbana dove le contraddizioni non hanno soltanto il volto ostile della violenza. Sono ancora contraddizioni che restano umane, tali che basta a scioglierle la presenza dell’immagine e del sentimento poetico. Il sentimento e l’immaginazione di Braglia.
E’ la realtà viva l’ispiratrice di Attilio Braglia intesa nella sua più totale globalità, con tutti i contrasti di cui – demiurgica e remissiva, agitata e immobile, caotica e geometrica com’è – è stupendamente prodiga: con tutti i suoi derivati, anche artificiali o artificiosi, dalla pietra al fiore, dai maratoneti agli storni di uccelli migranti, dalla corrozza ferroviaria lucida al frammento da Giudo Reni o da Cagnacci, dal ricordo i Shirley Temple bambina al fotogramma di film di guerra. Con tutti gli inserimenti studiatamente incoerenti, parti intersecate di evenienze lontane per luogo e costumi, messe lì per dare il necessario colpo di frusta all0immaginazione di chi contempla. Frammenti tutti di un’umanità che ama, soffre, gioisce, produce, distrugge; e, coagulandosi o sfilacciandosi, analizza e sintetizza.
Animando le composizioni, nei dipinti del pittore reggiano quella realtà viva coesisteva, in passato, con il costruttivismo di certe quadrettature del quadro e delle finzioni consistenti nel separare le parti di esso con un vuoto fittizio, costituito dal bianco della tele, solcato da listelle che, non avendo consistenza materica, creavano dislivelli solo illusori, con le loro ombre, tra di sopra, di dotto, e il presento muro. L’idea era vicina all’ancor non nata immagine virtuale, e non si è annebbiata con il tempo; solo che l’originaria realtà onnicomprensiva si è apparentata sempre più alla realtà – natura, chiamandosi, nei titoli dei dipinti “Nascita”, o “Vita nel vecchio albero”, “Farfalle sulla siepe”, “Farfalle nascita”; e continuando misteriosamente a proiettare ombre su immaginari fondali piatti, quasi fossero nature morte (o vive) staccate dal supporto della pittura, pur essendo legate a esso dal taglio della tela.
Lucida e intelligente è la poetica dell’instancabile e solitario Braglia, consapevole degli alternanti motivi di richiamo della cultura di ieri e delle pulsioni del pensiero e della tecnologia di oggi: profonda nella ricerca dei riemergenti valori pittorici, visto l’evidente amore per i gesti del disegnare preciso e della spalmare generosamente il colore, quanto pronta a sorreggerli con orditi e trame propri delle istanze strutturalistiche, esse ci dice anche come la natura fatichi a nascere e a svilupparsi, così nella crisalide che diventa farfalla, o nella stridula nidiata ammucchiata nel nido che attende di essere inbeccata; e come lo compia, comunque, guidata dalla mente che, ricordando Parmenide, sublimamente “geometrizza”.
Attilio Braglia è un artista schivo, sensibilissimo, dotato di una capacità analitica che lo rende uno dei più proficui e fecondi artisti neo figurativi di questi ultimi venti anni.
Egli è un attento testimone di quel “quotidiano” al quale attinge la sua ispirazione. Il suo recupero dell’uomo, le vicende ideologiche ed esistenziali che si esaltano nel suo racconto figurativo attuato con scrupoloso amore e potente disegno anatomico crea esseri carichi di un agonismo di massa che li vede eroi protagonisti di una vicenda che diviene tematica d’arte
Un attento esame delle sue opere porta alla conclusione che egli non dipinge un quadro col solo scopo di riprodurre un oggetto, bensì con lo scopo di ricomporre gli aspetti ricettivi e le sensazioni da esso scaturite. In tale ricomposizione, ove la creatività dell’artista fornisce i parametri fondamentali, un posto di primo piano è assunto dalla solida costruzione grafica molto equilibrata e sapientemente congegnata.
I dipinti di Braglia forniscono quel tanto di figurativo, ma senza saturate l’immagine, lasciando perciò alla fantasia dell’osservatore, il compito di percepire sempre nuove sensazioni.
Queste immagini vanno di là da una comune rappresentazione pittorica di quanto ciò che Braglia ha dipinto non è vincolato agli spazi reali di una pittura figurativa, ma tende a qualcosa di totale anche se pure per l’immagine emblematica vigono i limiti del supporto.
Una personalità dotata di una fine sensibilità, volta a cogliere nella natura gli aspetti meno appariscenti, per tradurli in un momento lirico di singolare efficacia. Non paesaggi tradizionali, bensì angoli denominati e quasi occulti, trasformati “ con una rara perfezione tecnica “ in immagini luminose e cromaticamente intense, sia si tratti di un momento autunnale, come di un abbaglio di sole.
Lo stile di Braglia è personale e inimitabile; certe sue composizioni insistentemente realizzate su toni verdi – azzurri rappresentano altrettanti momenti lirici di notevole efficacia.
… Attilio Braglia doit la rèussite de ses toiles à une constante application au travail, à une recherche sèrieuse et pour suivie; d’où èmane me traditionel goùt d’un judicieux chromoatisme. L’artiste reste fedèle à son attitude reflèchie dans laquelle il puise les images qui touvent les plus rèèlles correspondances dans son àme. Par une technique habile, Attilio Braglia a le mèrite de non prèsenter une prefaite image du monde actuel au rèalisme magique où les couleurs automnales se fondet avec les images d’un pas narrativement evocateur…..
Il colore, staccato dalla materialità del mondo oggettivo, assume nei suoi quadri valori in rapporto al particolare modo dell’autore di esprimere la realtà.
E’ quasi naturale che un simile modo di accostarsi alle cose lo avvicinasse al mondo pittorico della “nuova figurazione” in cui la rappresentazione della realtà oggettiva appare come filtrata attraverso le lenti che la moderna civiltà tecnologica sembra imporre all’uomo d’oggi.
In una congiuntura epocale che vede l’arte gravata dal difficile compito di esprimere il nuovo, ad ogni costo, e ingloba in questa sdrucciolevole ed ambigua sigla ogni sorta di acrobatica contorsione elaborata dalla mente umana, purché contraffatta sotto le mentite spoglie di uno sperimentalismo dissacrante, l’arte di Attilio Braglia costituisce un’anacronistica eccezione, un’anomalia che non cessa di stupirci. Non c’è ombra, crepa, elemento di distacco che possa incrinare il trionfante assetto di questo universo verdeggiante e libero poiché ognuno dei suoi pur minimi orgasmi è fatto oggetto da parte dell’ autore di amorose cure: nessun particolare viene omesso; l’attenzione alla resa naturalistica delle sagome si traduce in rigore quasi scientifico, in un realismo illustrativo che scova e smaschera, portandolo alla luce, ogni dettaglio funzionale ad una più limpida esaustività e rappresentatività dell’oggetto raffigurato. Questo virtuosismo descrittivo non scade mai in insulsa compiacenza di sé, né si appiattisce in mero esercizio ludico, in divertissement giocato sull’aneddoto: infatti, il sospetto di saturo decorativismo si disinnesca grazie ad un velo dì trepida magia, di attesa sospesa che cala silenzioso ma inesorabile sulla compiutezza miniaturistica dell’ universo vegetale e zoomorfo.
Tale serpeggiante corrente, che elettrizza la vitrea lucentezza di questi fotogrammi di natura integra, si sensibilizza nelle opere che accolgono la presenza della figura umana di chiara ascendenza Pop e Neo-Dada.
Come per incanto, nel momento in cui il campo visivo viene invaso dall’uomo, dai frammenti sparsi dei suo vissuto, dalle tracce usurate della sua memoria individuale e collettiva, la dolcezza paesistica si incrina e cedevolmente subisce la pioggia di spinte divergenti e contrapposte. La mano di Braglia pesca dal serbatoio del reale, in un reale ormai civilizzato e trafitto dalle stigmate , senza tentare di armonizzare i ritmi personali di ciascuna figurazione, ma lasciando di proposito che gli uni interagiscano con gli altri in un caos respingente di impulsi contrastanti, che si sovrappongono, si scontrano, senza mai fondersi in una sintesi bilanciata.
Braglia, per mezzo delle sue opere, recita con fede sincera il suo “credo” e porta sulle sue tele la chiara ispirazione. Una terminologia cromatica che affonda le sue radici in un terreno, dove, da tempo, sono state estirpate le inutili macerazioni, le alienazioni, ogni stravaganza o aberrazione polemica, ogni esplorazione che non è stato naturale osmosi e scambio d’idee, fertile di vicendevoli richiami, suggestiva di associazioni.
Braglia è un pittore che espone il suo pensiero con coerenza e senso di responsabilità: un discorso organico che si estende sul vasto orizzonte e rende presenti gli insegnamenti del passato muovendo il passo verso l’avvenire, un linguaggio sintetico o ambio nel quale è viso il senso dell’avventura umana e artistica dell’uomo.
Ogni quadro è una pagina luminosa e palpitante che condensa le ragioni e i sentimenti del protagonista che ritesse gli stati d’animo, i momenti esplorativi o controllati, la volontà di ricerca o il pudore e la “charitas” dell’artista che si affaccia sui segreti e sui dolori degli altri uomini, degli altri uomini ai quali Dio non ha concesso la redenzione e amore.
I piani di colore piatto e uniforme, le melodiose rispondenze lineari e le sottili armonie totali, il segno accurato, la tecnica abilissima, scandiscono la rappresentazione con un rigore e un’essenzialità che sembra rifarsi ad un ritmo squisitamente musicale. Così, esattezza grafica ed eleganza formale si fondono in una perfetta sintesi pittorica in cui l’emozione non è mai pura, non è mai senza ricordo: in cui la realtà sensibile è apertamente manifesta in un contesto di simboli e di inquietanti suggestioni.
Raramente l’artista di oggi fugge alla realtà concreta che lo circonda e Braglia non fa eccezione; essa lo preme da vicino, lo stimola e lo attrae incessantemente, si fa voce e gesti, luce e colore, vita in fermento e morte, sensazione fuggevole e certezza duratura: è in Lui e fuori di Lui, è nel sottile e ininterrotto rapporto che collega il suo “IO” intimo fatto di impressioni e di Reazioni, ai fenomeni esterni ed è ancora qui la verità che egli deve cogliere ed esprimere nelle sue opere.
Una verità che egli vede, una realtà che egli ricorda, espresse in immagini perfette o trasfigurate, filtrate attraverso la sua sensibilità di uomo e pittore.
(…) Per Attilio Braglia la “nuova figurazione” diventa, dopo l’iniziale momento realista, l’approdo, il macerato riferimento cui, in fondo, resterà per trent’anni fedele. Già un dipinto del 1970, Interno esterno, è emblematico di questa adesione, nel suo evidente riproporre i moduli di composizione spaziale di un Ferroni. La superficie del dipinto è divisa da una banda orizzontale, che è una sorta di orizzonte, di ancoraggio del racconto in più “quadri” – tra di loro, anche se nell’immediato appaiono dissonanti, strettamente collegati – che l’artista viene svolgendo. Questa banda separa, e insieme accosta e fonde, due situazioni alternative che così vengono rese comunicanti, interagenti, come se quella linea fosse una frontiera che divide e unisce allo stesso tempo.
Un’altra costante compositiva dei dipinti di Braglia è l’addensarsi della rappresentazione di un punto: un brulicare delle immagini, un groviglio di segni, come se il quadro sempre avesse bisogno di una concentrazione, quasi ossessiva, di forme e colori, cui fanno da contrappunto vaste, libere campiture – in cui, magari, si proietta e incombe un’ombra, qualcosa che sta “fuori” della scena, ma che necessariamente vi entra. C’è, in molte opere di Braglia, una sorta di rapporto conflittuale tra luce intensa, quasi accecante – luogo dell’apparente massima capacità di vedere – , ed ombra, a volte cupa, appena accennata impronta di un corpo e di una forma, oscurità che cela la verità delle cose. Questo contrappunto tra luce e ombra, questo “montaggio” della scena per frammenti di realtà distanti e separate, questo irrompere sulla ribalta di ciò che dovrebbe essere “fuori campo”, con uno schermo in cui inestricabilmente si fondono realtà, memoria, sogno, dà vita ad immagini corrose dall’inquietudine, segnate da una sorta di sottile estraniamento.
(…) Certo c’è , in Braglia, un tributo, quasi ossessivo, alla silente vitalità della natura, al pulsare dell’esistenza vegetale e animale, o al movimento (palio, maratona, passaggio di un autobus) in se’. Presto, tuttavia, s’insinua in noi il sospetto che si tratti di un’elegia, di un rimpianto di qualcosa che è irrimediabilmente perduto o che il nostro occhio ormai diseducato abitualmente non vede nella sua bellezza fragrante, Forse questo sentimento spiega perché Braglia, nelle fasi conclusive di realizzazione dei suoi dipinti, ripercorra, con un pennello sottilissimo, le minute linee dei contorni di alcune delle forme, tanto da delineare un reticolo di piccoli filamenti di colore in rilievo, aumentando la profondità della scena e dando una sorta di illusione ottica, di stordimento della visione. Sembra quasi, Braglia, credere che quella materia in rilievo, così amorosamente stesa, possa, in un qualche modo, farsi il corpo delle cose che rappresenta, di quell’esistenza che egli si ostina a dipingere, mentre incombe su di essa la minaccia dell’annientamento, della dissoluzione, del suo precipitare nel vuoto assoluto, quando nulla – né corpo, né colore, né suono, né profumo, né sapore della vita- più importa.
Le opere di Braglia s’ambientano nella problematica del vivere contemporaneo, la sua tematica scava nel vivo della nostra vita attuale ed è incentrata sulla condizione dell’uomo moderno e nell’ambiente creato dalla civiltà tecnologica. Egli con un contenuto sostanzialmente realistico, si è situato in una posizione dialettica che gli ha permesso di adattare le opposte esigenze in una visione unitaria, ricca di tensione.
La rapidità che rimbalza in ogni angolo delle sue composizioni, con ariosa dolcezza e si ritrova poi legata in un ripercuotersi d’echi dove luce ed intelletto fanno brulicare tessuto, è quasi gioia decorativa che completa ed estrinseca la controllata felicità dell’artista.
Si afferma nella pittura d’Attilio Braglia una fusione stilistica rigorosa.
Le zone di colore splendente, si rispondono e contrastano per suggerire la profondità e dare rilievo all’ambiente:
Sono larghi solchi che radicalmente segnano lo spazio. Il colore è steso come un assoluto immediato e quindi agisce come un assenzione folgorante. Vi si scrivono, poi, mediante una grafia corsiva, altre batture, pur sempre repentine, così da dare a tutta la pittura un movimento variato di timbri e di accenti.
Tra le generazioni d’artisti, è senza dubbio uno dei meglio preparati, sia per la serietà della ricerca, sia per la costanza di un’applicazione al lavoro che è esemplare insieme e fatta d’autentica vocazione.
Portato per temperamento ad un calmo atteggiamento di riflessione, le sue tele, sono lo specchio fedele di questa sua attitudine un po’ introversa, ma sempre e tutta protesa a capire e cogliere del mondo che lo circonda, gli aspetti e le immagini più belle e suggestive, quelle che trovano nel suo animo le più alte e armoniose rispondenze.
Visioni che ci parlano con la delicata e struggente bellezza di un realismo magico che vibra della sensibilità d’animo dell’artista stesso. Visioni oniriche, surreali, espresse in una maniera così risoluta e soave, che le tele ne sono sommerse come per una sovrabbondanza di luminosità e di purezza.
Attilio Braglia coltiva in sé un sentimento elegiaco della vita che viene ponendosi via via con forza poetica sempre più netta e precisa; attraverso la narrazione un po’ favolosa delle sue opere, decisamente situate in una dimensione di limpida, quasi solare chiarezza dei colori e in una ricerca che mette giustamente equilibrati ambiente e figura; attraverso un’elaborata e armonica tessitura cromatica, giammai fine a se stessa, ma sempre come risultato di una più umana, aperta e autentica contemplazione delle cose e della natura stessa. Ne scaturisce un senso misto di gioia che è poi quello stesso della vita. Il solo probante e significativo nel breve volgere del nostro umano cammino.
Attilio Braglia è un singolare fabbricante d’oggetti estetici i quali, pur raccordandosi agli oggetti d’uso che compongono lo sfondo, rivendicano una propria decisa autonomia. Oggetti a tutta densità, carichi di riserve di vitalità ulteriore, strutturati su un disegno sapiente. Dovresti pensare che una così sicura indipendenza li neghi al “legame” con il mondo, e gli imponga di prendere l’iniziativa di quel legame. Accade invece un’annessione reciproca tra sfondo e oggetto e constati il legame mentre percepisci l’indipendenza.
Avvenimenti come allusioni, paure com’evocazioni, tragedia (il senso che l’umanità sta recitando una tragedia) come finzione. Egli racconta e minaccia, con il linguaggio della pittura raffinato e minuzioso, le ambiguità della sua vicenda personale mischiata all’ambigua vicenda del mondo e colora con puntiglio i suoi puntigliosi disegni.
Sul fondo di uno spazio chiuso e trasparente, Braglia costruisce un ribollire d’esseri vivi e morti a catasta. Ti porti via la speranza che il tutto divenga splendore di vita nella tesa atmosfera dell’acquario.